Distretto minerario del Monte Amiata
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Distretto minerario del Monte Amiata
Così possiamo inserire tutto quello che riguarda Il distretto minerario del Monte Amiata,ricco di storia e di tante scoperte scentifiche!
Dedico questo topic a tutti i miei amici minatori!
Attenzione se andate alla ricerca perchè la zona è ricca di venute di gas nocive!
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Attenzione se andate alla ricerca perchè la zona è ricca di venute di gas nocive!
Ultima modifica di BECCARI SIMONE il ven 05 ott, 2007 10:27, modificato 3 volte in totale.
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- BECCARI SIMONE
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Pozzo due credo, miniera del Siele!
Nello stabilimento minerario più a valle c'è la Galleria Emilia che collegava la miniera del Siele a quella delle solforate!
Inserisco una breve storia sulla zona del Monte Amiata!
La miniera di Abbadia San Salvatore rappresentava l'attività estrattiva più importante del comparto amiatino. L'importanza del bacino mercurifero amiatino può essere valutata dal fatto che negli ultimi cento anni esso ha prodotto circa 1800000 bombole di mercurio circa il 27 per cento della produzione mondiale!
Descrizione geo-giacimentologica:
Le formazione sedimentarie, sottostanti alla tracite del Monte Amiata e interessate dalla mineralizzazione cinabrifera, s'allineano in direzione SE_NW con pendenza circa 30 gradi, essendo delimitate verso l'alto da una zona di erosione riempita da rocce vulcaniche. La serie completa consta di 5 termini:
1) Scisti policromi, costituiti da argille scagliose di colore variabile a letto dei livelli mineralizzati.
2) Sottomummulitico, alternanze di calcareniti con calcari compatti del cretaceo superiore. Per aumento della presenza delle calcareniti si passa al:
3) Nummulitico, in cui le calcareniti sono fittamente intrecciate da vene di calcite spatica. Verso l'alto per la comparsa di livelli argillosi si giunge al:
4) Sopranummulitico, caratterizzato da straterelli di argilla e calcareniti nel quale vi è la mineralizzazione: questa formazione ha uno spessore 70-80 metri ed è delimitata al tetto da:
5) Argille Verdi, formate da argille grigio-verdi con intercalazioni di tornanti calcarei.
La mineralizzazione interessava soprattutto il sopranummulitico, quindi la mineralizzazione è compresa tra due sedimenti argillosi (scisti policromi a letto e argille verdi di tetto).
Descrizione della miniera:
La ricognizione della mineralizzazione ha avuto luogo con gallerie a mezza costa della dorsale montuosa e con due pozzi: San Callisto e Pozzo Garibaldi.
Entrambi hanno attraversa da tetto a letto le formazioni utili;gallerie di collegamento sono state realizzate successivamente.
dai pozzi a intervalli regolari di 25 m, sono state spinte gallerie esplorative. Sistematici fornelli hanno completato la ricerca, favorendo anche la ventilazione e il raffreddamento delle rocce interessate dai lavori più bassi dove la temperatura raggiungeva i 60-70 gradi.
Complessivamente contiamo 17 livelli il più basso il livello -200 serviva come galleria di scolo.
Nello stabilimento minerario più a valle c'è la Galleria Emilia che collegava la miniera del Siele a quella delle solforate!
Inserisco una breve storia sulla zona del Monte Amiata!
La miniera di Abbadia San Salvatore rappresentava l'attività estrattiva più importante del comparto amiatino. L'importanza del bacino mercurifero amiatino può essere valutata dal fatto che negli ultimi cento anni esso ha prodotto circa 1800000 bombole di mercurio circa il 27 per cento della produzione mondiale!
Descrizione geo-giacimentologica:
Le formazione sedimentarie, sottostanti alla tracite del Monte Amiata e interessate dalla mineralizzazione cinabrifera, s'allineano in direzione SE_NW con pendenza circa 30 gradi, essendo delimitate verso l'alto da una zona di erosione riempita da rocce vulcaniche. La serie completa consta di 5 termini:
1) Scisti policromi, costituiti da argille scagliose di colore variabile a letto dei livelli mineralizzati.
2) Sottomummulitico, alternanze di calcareniti con calcari compatti del cretaceo superiore. Per aumento della presenza delle calcareniti si passa al:
3) Nummulitico, in cui le calcareniti sono fittamente intrecciate da vene di calcite spatica. Verso l'alto per la comparsa di livelli argillosi si giunge al:
4) Sopranummulitico, caratterizzato da straterelli di argilla e calcareniti nel quale vi è la mineralizzazione: questa formazione ha uno spessore 70-80 metri ed è delimitata al tetto da:
5) Argille Verdi, formate da argille grigio-verdi con intercalazioni di tornanti calcarei.
La mineralizzazione interessava soprattutto il sopranummulitico, quindi la mineralizzazione è compresa tra due sedimenti argillosi (scisti policromi a letto e argille verdi di tetto).
Descrizione della miniera:
La ricognizione della mineralizzazione ha avuto luogo con gallerie a mezza costa della dorsale montuosa e con due pozzi: San Callisto e Pozzo Garibaldi.
Entrambi hanno attraversa da tetto a letto le formazioni utili;gallerie di collegamento sono state realizzate successivamente.
dai pozzi a intervalli regolari di 25 m, sono state spinte gallerie esplorative. Sistematici fornelli hanno completato la ricerca, favorendo anche la ventilazione e il raffreddamento delle rocce interessate dai lavori più bassi dove la temperatura raggiungeva i 60-70 gradi.
Complessivamente contiamo 17 livelli il più basso il livello -200 serviva come galleria di scolo.
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Le singole località vanno trattate, una per una, nella sezione "Ricerca e collezione".
Il titolo di questa sezione è abbastanza chiaro:
""Mineralogia regionale
notizie, informazioni relative ad un'intera regione"" o almeno una provincia, un distretto (vedasi il topic sull'Appennino Emiliano).
Facendo invece così (come al primo messaggio del topic) si possono trattare tutte le regioni italiane indistintamente senza alcuna logica.
No! In questa sezione la trattazione deve riguardare l'intero contesto regionale (vedasi per esempio la trattazione sui minerali della regione Abruzzo, quella sul Piemonte e Valle d'Aosta, quella sulla bibliografia dell'intera regione Toscana o quella su PRIE).
Se si scorrono gli esempi citati, si percepisce immediatamente cosa deve figuare in questa specifica sezione: http://forum.amiminerals.org/viewtopic.php?t=529
http://forum.amiminerals.org/viewtopic.php?t=559
Nel dubbio, prima dare inizio a un topic, chiedere: m.ciriotti@tin.it
Il titolo di questa sezione è abbastanza chiaro:
""Mineralogia regionale
notizie, informazioni relative ad un'intera regione"" o almeno una provincia, un distretto (vedasi il topic sull'Appennino Emiliano).
Facendo invece così (come al primo messaggio del topic) si possono trattare tutte le regioni italiane indistintamente senza alcuna logica.
No! In questa sezione la trattazione deve riguardare l'intero contesto regionale (vedasi per esempio la trattazione sui minerali della regione Abruzzo, quella sul Piemonte e Valle d'Aosta, quella sulla bibliografia dell'intera regione Toscana o quella su PRIE).
Se si scorrono gli esempi citati, si percepisce immediatamente cosa deve figuare in questa specifica sezione: http://forum.amiminerals.org/viewtopic.php?t=529
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Marco E. Ciriotti
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Importante è notare che ampie zone della Toscana sono state interessate da risalite di fluidi idrotermali che hanno portato a mineralizzazioni ad antimonio e cinabro.
Una di esse è particolarmente interessante, in quanto si possono riscontrare entrambe le mineralizzazioni.
Detta miniera è denominata del Morone, o comunemente di Selvena.
Inserisco una breve storia della miniera, che è interessante anche dal punto di vista storico, un cenno della geologia e un elenco dei minerali rinvenuti o che si possono rinvenire.
A breve inserirò anche una bibliografia dettagliata.
Una di esse è particolarmente interessante, in quanto si possono riscontrare entrambe le mineralizzazioni.
Detta miniera è denominata del Morone, o comunemente di Selvena.
Inserisco una breve storia della miniera, che è interessante anche dal punto di vista storico, un cenno della geologia e un elenco dei minerali rinvenuti o che si possono rinvenire.
A breve inserirò anche una bibliografia dettagliata.
Tiberio Bardi
Presidente AMPP Associazione Mineralogica Prato-Pistoia
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Miniera del Morone - Selvena, Castell'Azzara (Grosseto)
Cenni Storici - L'area mineraria, dominata dai ruderi di Rocca Silvana, era un sito sfruttato già al tempo degli etruschi e durante il medioevo. Questo rapporto con il medioevo è la caratteristica dell'area di Selvena dove, come risulta da documenti antichi e reperti rinvenuti, si sono svolte le più antiche attività minerarie sull'Amiata ad opera degli Aldobrandeschi e degli Sforza di Santa Fiora. La miniera del Morone o di Selvena è una delle poche miniere dell'Amiata in cui si hanno notizie di passate coltivazioni. Infatti è documentato che, nei secoli XVII e XVIII, gli Sforza di Santa Fiora svolsero alcune attività produttive come per esempio lo sfruttamento dell'antimonio, l'estrazione del cinabro per la produzione del mercurio e la produzione del vetriolo. Nel 1738 aprirono alcune miniere a Poggio Paulorio, sopra il borgo di Selvena, e iniziarono alcuni lavori per la coltivazione a cielo aperto del cinabro a poche centinaia di metri dalla villa Sforzesca. Nel 1743 le cave di mercurio furono affittate, per 400 scudi annui, al chimico Stefano Mattioli di Camerino, che riuscì a ricavare anche 3000 libbre di mercurio all'anno, e al conte Liberati di Parma. L'attività mineraria non procurò agli affittuari grandi profitti, a causa dei canoni alquanto alti che il Duca richiedeva per lo sfruttamento del sottosuolo, tanto che, a poco a poco venne abbandonata. Bisognerà aspettare il 1850 per la ripresa dell'attività mineraria a Selvena, quando la Società Industriale Stabilimento Mineralogico Modigliani proprietaria della miniera del Siele, sotto la direzione dell'ingegnere francese Alfredo Caillaux, eseguì alcuni lavori di esplorazione, in un'area dove trovò, in mezzo ai calcari giurassici, sotto forma di un filone di terra nera e bituminosa, una discreta abbondanza di cinabro. Nonostante questi incoraggianti ritrovamenti i lavori non andarono avanti e qualche anno dopo, nel 1871, Don Bosio Sforza, conte di Santa Fiora, cedette per 99 anni a Filippo Schwarzenberg e ai suoi eredi il diritto esclusivo di escavazione nelle località di Cellena, Selvena, Cortevecchia e Banditella, tutte nella contea di Santa Fiora. Il nuovo concessionario, sotto la guida di Teodoro Haupt, ingegnere tedesco che aveva operato come consulente minerario del governo Granducale fin dal 1840, iniziò nel 1874, proprio nell'area dove insiste lo stabilimento del Morone, le prime ricerche di mercurio. Durante i lavori si ritrovarono poche tracce di cinabro e quindi le ricerche furono abbandonate nel 1882. Dopo la morte di Filippo Schwarzenberg, avvenuta nel 1885, le ricerche furono riprese dai suoi eredi nel 1889 sotto la direzione dell'ing. Jasinsky, per essere di nuovo sospese nel 1891, e poi ancora riprese sino a quando nel 1907 si riuscì a raggiungere la parte ancora non coltivata. Nel 1909 procedendo bene le coltivazioni, grazie all'introduzione di un impianto idroelettrico (che permetteva la ventilazione delle gallerie) e alla costruzione di un forno Spirek, venne prodotto il primo mercurio; l'impianto fu poi ampliato nel 1912.
Nel 1917 la miniera fu acquistata dalla Società Monte Amiata, già proprietaria della miniera di Abbadia San Salvatore, assieme alle altre miniere appartenenti agli eredi Schwarzenberg (Solforate, Cornacchino, Dainelli, Carminata e Querciolaia). Nel 1925 nella miniera esistevano tre gallerie di carreggio, di cui la prima alla quota 482 metri slm. (livello III) e le altre due rispettivamente alle quote 452 e 437 metri slm., l'energia elettrica necessaria alla miniera era fornita dalla centrale di Santa Fiora appartenente alla ditta Sclavi Ricciarelli e Monaci. Al Morone si lavorò a pieno ritmo sino al 1932 dopo di che, per la crisi internazionale, la miniera conobbe un lungo periodo di stasi. La produzione fu fermata, vennero fatti soltanto lavori di manutenzione con conseguente degrado delle gallerie e dei pozzi e vennero smantellati quasi tutti i forni. Nel 1939 e nel 1940 ripresero i lavori di ricerca: venne scavata una galleria di ribasso e si riaprì la galleria Elena Dainelli, ma la produzione non ripartì e quindi lo stabilimento continuò a rimanere inattivo.
Dopo la guerra, nel 1946 sotto la pressione degli abitanti della zona, la Società Monte Amiata ne decise la riapertura. I lavori in sotterraneo ripresero, si riattivarono cinque livelli e si portarono avanti le ricerche nella zona sud-ovest; contemporaneamente a partire dal 1951 si riattivarono i due vecchi forni Cermak-Spirek della capacità di 12 tonnellate ciascuno e si costruirono due forni a torre Spirek per riprendere a produrre mercurio. A partire dal 1955 la Monte Amiata iniziò un'opera di ammodernamento degli impianti; nel 1961 entrò in funzione un forno a suole multiple tipo Pacific da tre tonnellate/giorno; nel 1964 un altro forno a suole Pacific, questa volta da 50 tonnelate. Quest'ultimo forno permise, per un certo periodo, di trattare oltre al minerale escavato il loco anche quello proveniente sia dalla miniera di Cellena-Cortevecchia che da quella delle Solforate Schwarzenberg. Nel 1970, nonostante il mercato del mercurio stesse attraversando un periodo di profonda crisi per il forte aumento della produzione e della persistente riduzione della domanda a causa della scoperta di fattori inquinanti, in miniera si continuò una sostenuta attività di ricerca e si sperimentarono nuovi metodi di coltivazione, così come avveniva nella miniera di Abbadia. A partire dal 1973, dopo aver potenziato l'impianto metallurgico di Abbadia San Salvatore la società decise, per motivi economici, di trattare il minerale estratto nella miniera in quello stabilimento e di spengere definitivamente i forni del Morone. Nel 1974, insieme alle altre miniere della Monte Amiata, la miniera del Morone passò alla Società Mercurifera Monte Amiata e, una volta trasferita all'ENI, venne chiusa definitivamente nel 1981.
Cenni Storici - L'area mineraria, dominata dai ruderi di Rocca Silvana, era un sito sfruttato già al tempo degli etruschi e durante il medioevo. Questo rapporto con il medioevo è la caratteristica dell'area di Selvena dove, come risulta da documenti antichi e reperti rinvenuti, si sono svolte le più antiche attività minerarie sull'Amiata ad opera degli Aldobrandeschi e degli Sforza di Santa Fiora. La miniera del Morone o di Selvena è una delle poche miniere dell'Amiata in cui si hanno notizie di passate coltivazioni. Infatti è documentato che, nei secoli XVII e XVIII, gli Sforza di Santa Fiora svolsero alcune attività produttive come per esempio lo sfruttamento dell'antimonio, l'estrazione del cinabro per la produzione del mercurio e la produzione del vetriolo. Nel 1738 aprirono alcune miniere a Poggio Paulorio, sopra il borgo di Selvena, e iniziarono alcuni lavori per la coltivazione a cielo aperto del cinabro a poche centinaia di metri dalla villa Sforzesca. Nel 1743 le cave di mercurio furono affittate, per 400 scudi annui, al chimico Stefano Mattioli di Camerino, che riuscì a ricavare anche 3000 libbre di mercurio all'anno, e al conte Liberati di Parma. L'attività mineraria non procurò agli affittuari grandi profitti, a causa dei canoni alquanto alti che il Duca richiedeva per lo sfruttamento del sottosuolo, tanto che, a poco a poco venne abbandonata. Bisognerà aspettare il 1850 per la ripresa dell'attività mineraria a Selvena, quando la Società Industriale Stabilimento Mineralogico Modigliani proprietaria della miniera del Siele, sotto la direzione dell'ingegnere francese Alfredo Caillaux, eseguì alcuni lavori di esplorazione, in un'area dove trovò, in mezzo ai calcari giurassici, sotto forma di un filone di terra nera e bituminosa, una discreta abbondanza di cinabro. Nonostante questi incoraggianti ritrovamenti i lavori non andarono avanti e qualche anno dopo, nel 1871, Don Bosio Sforza, conte di Santa Fiora, cedette per 99 anni a Filippo Schwarzenberg e ai suoi eredi il diritto esclusivo di escavazione nelle località di Cellena, Selvena, Cortevecchia e Banditella, tutte nella contea di Santa Fiora. Il nuovo concessionario, sotto la guida di Teodoro Haupt, ingegnere tedesco che aveva operato come consulente minerario del governo Granducale fin dal 1840, iniziò nel 1874, proprio nell'area dove insiste lo stabilimento del Morone, le prime ricerche di mercurio. Durante i lavori si ritrovarono poche tracce di cinabro e quindi le ricerche furono abbandonate nel 1882. Dopo la morte di Filippo Schwarzenberg, avvenuta nel 1885, le ricerche furono riprese dai suoi eredi nel 1889 sotto la direzione dell'ing. Jasinsky, per essere di nuovo sospese nel 1891, e poi ancora riprese sino a quando nel 1907 si riuscì a raggiungere la parte ancora non coltivata. Nel 1909 procedendo bene le coltivazioni, grazie all'introduzione di un impianto idroelettrico (che permetteva la ventilazione delle gallerie) e alla costruzione di un forno Spirek, venne prodotto il primo mercurio; l'impianto fu poi ampliato nel 1912.
Nel 1917 la miniera fu acquistata dalla Società Monte Amiata, già proprietaria della miniera di Abbadia San Salvatore, assieme alle altre miniere appartenenti agli eredi Schwarzenberg (Solforate, Cornacchino, Dainelli, Carminata e Querciolaia). Nel 1925 nella miniera esistevano tre gallerie di carreggio, di cui la prima alla quota 482 metri slm. (livello III) e le altre due rispettivamente alle quote 452 e 437 metri slm., l'energia elettrica necessaria alla miniera era fornita dalla centrale di Santa Fiora appartenente alla ditta Sclavi Ricciarelli e Monaci. Al Morone si lavorò a pieno ritmo sino al 1932 dopo di che, per la crisi internazionale, la miniera conobbe un lungo periodo di stasi. La produzione fu fermata, vennero fatti soltanto lavori di manutenzione con conseguente degrado delle gallerie e dei pozzi e vennero smantellati quasi tutti i forni. Nel 1939 e nel 1940 ripresero i lavori di ricerca: venne scavata una galleria di ribasso e si riaprì la galleria Elena Dainelli, ma la produzione non ripartì e quindi lo stabilimento continuò a rimanere inattivo.
Dopo la guerra, nel 1946 sotto la pressione degli abitanti della zona, la Società Monte Amiata ne decise la riapertura. I lavori in sotterraneo ripresero, si riattivarono cinque livelli e si portarono avanti le ricerche nella zona sud-ovest; contemporaneamente a partire dal 1951 si riattivarono i due vecchi forni Cermak-Spirek della capacità di 12 tonnellate ciascuno e si costruirono due forni a torre Spirek per riprendere a produrre mercurio. A partire dal 1955 la Monte Amiata iniziò un'opera di ammodernamento degli impianti; nel 1961 entrò in funzione un forno a suole multiple tipo Pacific da tre tonnellate/giorno; nel 1964 un altro forno a suole Pacific, questa volta da 50 tonnelate. Quest'ultimo forno permise, per un certo periodo, di trattare oltre al minerale escavato il loco anche quello proveniente sia dalla miniera di Cellena-Cortevecchia che da quella delle Solforate Schwarzenberg. Nel 1970, nonostante il mercato del mercurio stesse attraversando un periodo di profonda crisi per il forte aumento della produzione e della persistente riduzione della domanda a causa della scoperta di fattori inquinanti, in miniera si continuò una sostenuta attività di ricerca e si sperimentarono nuovi metodi di coltivazione, così come avveniva nella miniera di Abbadia. A partire dal 1973, dopo aver potenziato l'impianto metallurgico di Abbadia San Salvatore la società decise, per motivi economici, di trattare il minerale estratto nella miniera in quello stabilimento e di spengere definitivamente i forni del Morone. Nel 1974, insieme alle altre miniere della Monte Amiata, la miniera del Morone passò alla Società Mercurifera Monte Amiata e, una volta trasferita all'ENI, venne chiusa definitivamente nel 1981.
Tiberio Bardi
Presidente AMPP Associazione Mineralogica Prato-Pistoia
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Bravo Tiberio. Bel resoconto!
Minerali presenti, cinabro ovviamente ma anche antimonite in abbondanza al punto che la società Monte Amiata era interessata allo fruttamento.
Da un anno a questa parte la miniera è sottoposta a un opera di bonifica e di recupero di tutte le aree industriali.
Possibilità di reperire minerali scarsa anche perchè le discariche sono state messe in sicurezza e ricoperte da terra.
Inserirò anche alcune foto.
Minerali presenti, cinabro ovviamente ma anche antimonite in abbondanza al punto che la società Monte Amiata era interessata allo fruttamento.
Da un anno a questa parte la miniera è sottoposta a un opera di bonifica e di recupero di tutte le aree industriali.
Possibilità di reperire minerali scarsa anche perchè le discariche sono state messe in sicurezza e ricoperte da terra.
Inserirò anche alcune foto.
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Si sapevo che stavano mettendola in sicurezza, anche perchè ci sono andato di recente.
Altre notizie sulla Miniera del Morone:
Cenni Geologici - La miniera, situata a valle del centro abitato di Selvena da cui dista circa 1 km, ad una quota di metri 500 s.l.m., risulta impostata a monte della confluenza del Fosso Morone con il Fosso Canala. La sua mineralizzazione più importante interessa i calcari nummulitici i quali si protendono con una propaggine o cordone, che dal Monte Penna si estende verso s-w tra il fosso Carminata ed il fosso Canala. A copertura di questi calcari si trova uno strato di pochi metri di galestro. Il calcare risulta discontinuo per rotture o scivolamenti e lo troviamo in affioramento a Selvena ed alla Roccaccia. Il sistema di faglie o rotture risulta come sempre veicolo originario del processo di mineralizzazione. Dove si rinvengono maggiore concentrazioni cinabrifere abbondano i cristalli di gesso nei quali il cinabro è contenuto in modo diffuso, assumendo un colore roseo più o meno intenso. La gran parte del minerale però si trova nelle argille intercalate da frammenti di calcare alterato più o meno impregnati di cinabro.
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Altre notizie sulla Miniera del Morone:
Cenni Geologici - La miniera, situata a valle del centro abitato di Selvena da cui dista circa 1 km, ad una quota di metri 500 s.l.m., risulta impostata a monte della confluenza del Fosso Morone con il Fosso Canala. La sua mineralizzazione più importante interessa i calcari nummulitici i quali si protendono con una propaggine o cordone, che dal Monte Penna si estende verso s-w tra il fosso Carminata ed il fosso Canala. A copertura di questi calcari si trova uno strato di pochi metri di galestro. Il calcare risulta discontinuo per rotture o scivolamenti e lo troviamo in affioramento a Selvena ed alla Roccaccia. Il sistema di faglie o rotture risulta come sempre veicolo originario del processo di mineralizzazione. Dove si rinvengono maggiore concentrazioni cinabrifere abbondano i cristalli di gesso nei quali il cinabro è contenuto in modo diffuso, assumendo un colore roseo più o meno intenso. La gran parte del minerale però si trova nelle argille intercalate da frammenti di calcare alterato più o meno impregnati di cinabro.
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Minerali rinvenuti:
Stibnite - Era presente sia nelle vene di calcite spatica, che immersa nel gesso, spesso sotto forma di bellissimi cristalli con abito prismatico-allungato, ben terminati e ricchi di forme, con tipico colore grigio metallico. Le dimensioni degli individui possono raggiungere (e talvolta superare) gli 8 cm.
Cinabro - Si presenta sia sotto forma di patine terrose, sia di masserelle o spalmature microcristalline. Il colore varia dal classico rosso-scarlatto al rosso-scuro. Può essere associato a calcite bianca, su calcari e dolomie, oppure incluso nel gesso.
Marcasite - Cristalli prismatici non molto allungati di colore giallo e lucentezza metallica, che spesso presentano iridescenze verdastre, associati a pirite cubica e calcite microcristallina, su dolomia.
Metacinnabarite - Patine e microcristalli di colore nero con lucentezza metallica, associati a spalmature rosse di cinabro ed a calcite scalenoedrica bianca, su calcare grigio. In è genere pseudomorfa di cinabro; infatti diversi microcristalli, una volta spaccati, rivelano una colorazione rosso-viva tipica di quest'ultima specie.
Orpimento - Sotto forma di esili croste terrose di colore giallo èra presente all'interno del gesso, in associazione con cinabro.
Pirite - Cristalli cubici di colore giallo caratteristico e lucentezza metallica; le dimensioni degli individui in genere variano da 1 a 5 mm. Era presente principalmente nelle venette di calcite bianca decorrenti nei calcari e nelle dolomie.
Quarzo - Sono stati rinvenuti cristalli sciolti con abito prismatico allungato, biterminati. Questi individui, incolori e limpidi, hanno una lunghezza di circa 10 mm.
Stibiconite - Accompagnava talvolta l'antimonite sotto forma di spalmature terrose giallastre.
Calcite - Oltre che in venature spatiche, si presentava anche in cristalli scalenoedrici, spesso idiomorfi, di colore bianco e dimensioni comprese tra 5 e 20 mm.
Dawsonite - Si reperiva comunemente sotto forma di esili spalmature di colore bianco candido e lucentezza sericea, su calcare grigio. Decisamente più rari gli aggregati microcristallini raggiati.
Dolomite - Nella varietà ferrifera, sotto forma di croste e venette microcristalline di colore giallo-bruno e lucentezza madreperlacea, associata a calcite spatica bianca su calcare grigiastro.
Gesso - Era molto comune sotto forma di masse e formazioni laminari, raramente incolori, quasi sempre di colore bianco-grigio o nerastro. Più rari e generalmente molto piccoli i cristalli.
Sono stati inoltre segnalati in tracce: mercurio - solfo - realgar.
Tiberio Bardi
Presidente AMPP Associazione Mineralogica Prato-Pistoia
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Il bello della stibnite della Selvena era che la si trovava anche abbastanza facilmente in cristalli lucentissimi all'interno di geodi con cristalli di calcite bianca scalenoedrica. Campioni davvero molto gradevoli, ben diversi dai classici campioni oggetto di acidatura provenienti da Le Cetine, Casal di Pari e Tafone.
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Segnalo per l'Amiata il seguente recentissimo lavoro.
Referenza:
• Battaglia, S., Gherardi, F., Gianelli, G., Leoni, L., Origlia, F. (2007): Clay mineral reactions in an active geothermal area (Mt. Amiata, southern Tuscany, Italy). Clay Minerals, 42, 353-372.
Abstract:
The study characterizes the effects of fluid migration into a predominantly shale cover which seals the active geothermal system of Mt. Amiata (Tuscany, Italy). During Alpine orogenesis the shale unit was affected by regional metamorphism at the limit of the diagenesis-anchizone. Subsequently, the phyllosilicate clay minerals of the shales underwent significant alteration at diagenetic temperatures (175±25°C as determined by the geochemical model) by the pervasive circulation of fluids activated by the geothermal field. The overall mineralogical assemblages indicate that the main transformations consisted mostly of destabilization of illite and formation of kaolinite together with large amounts of I-S mixed layers, with higher smectite content and decreased Reichweite I-S ordering (from R3 to R1) with respect to the original, unaltered phases. Application of computer modelling indicates that the circulation of CO2-rich geothermal fluids into the shale unit was responsible for the observed phyllosilicate clay mineral transformations.
Referenza:
• Battaglia, S., Gherardi, F., Gianelli, G., Leoni, L., Origlia, F. (2007): Clay mineral reactions in an active geothermal area (Mt. Amiata, southern Tuscany, Italy). Clay Minerals, 42, 353-372.
Abstract:
The study characterizes the effects of fluid migration into a predominantly shale cover which seals the active geothermal system of Mt. Amiata (Tuscany, Italy). During Alpine orogenesis the shale unit was affected by regional metamorphism at the limit of the diagenesis-anchizone. Subsequently, the phyllosilicate clay minerals of the shales underwent significant alteration at diagenetic temperatures (175±25°C as determined by the geochemical model) by the pervasive circulation of fluids activated by the geothermal field. The overall mineralogical assemblages indicate that the main transformations consisted mostly of destabilization of illite and formation of kaolinite together with large amounts of I-S mixed layers, with higher smectite content and decreased Reichweite I-S ordering (from R3 to R1) with respect to the original, unaltered phases. Application of computer modelling indicates that the circulation of CO2-rich geothermal fluids into the shale unit was responsible for the observed phyllosilicate clay mineral transformations.
Marco E. Ciriotti
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- BECCARI SIMONE
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Grazie Marco inserirò tra non molto alcune referenze!
Abbiamo parlato di alcune miniere ma molto importanti sono anche gli impianti di trattamento che servivano per trasformare il cinabro in mercurio!
La metallurgia del mercurio si basa sull'arrostimento del cinabro in ambiente ossidante secondo la seguente relazione:
HgS+O2 in Hg+SO2
nella quale l'ossigeno è dato generalmente dall'aria atmosferica. In effetti il cinabro racchiuso nel minerale frantumato sublima dapprima nell'ambito delle temperature dei forni di torrefazione (700-800 gradi) e quindi si ossida secondo la reazione sopra indicata. Un successivo raffreddamento del mercurio oramai allo stato di vapore, permette la formazione di mercurio liquido ed il suo recupero per i fini industriali a cui è destinato. Gli elementi essenziali quindi d'un impianto per il trattamento di minerale cinabrifero sono rappresentati dai forni e dalle installazioni necessarie per il recupero dei vapori e la loro successiva condensazione.
Ad Abbadia San Salvatore è accentrato il trattamento del minerale di tutte le miniere del comprensorio del Monte Amiata. Le miniere di Monte Civitella, Morone e Bagnore avviano il loro minerale ad Abbadia dopo averlo frantumato a <50 mm.
Poichè l'umidità media del minerale frantumato supera il 9-10%, un impianto d'essiccamento, comprendente quattro asciugatoi rotativi da 25 t/ora è intercalato nel ciclo prima della torrefazione. Il minerale dopo la riduzione del tasso di umidità a 3 -3,5%, passa successivamente ad un impianto di vagliatura a due tele (35 e 10 mm).
Dopo subisce il trattamento:
1)la pezzatura da 10 a 35 mm, alimenta 4 forni orizzontali rotativi Gould da 150 t/giorno cadauno. Essi funzionano in depressione per ovvie motivazioni di salubrità dell'ambiente, ad una temperatura costante di 750 gradi con bruciatori a nafta piazzati in corrispondenza del punto basso del forno.
2) la pezzatura 0-10 m, alimenta un forno tipo Herrestoff, anch'esso in depressione, a otto suole con capacità di trattamento di 200 t/giorno.
I fumi caldi contenenti i vapori di mercurio, raccolti in testa ai forni, vengono raffreddati e trascinati verso il basso da un impianto automatico di lavaggio e raccolti in bacini sottostanti... Il mercurio che ancora è frammisto a fanghi, viene prelevato e trattato da impastatrici rotative in ambiente alcalino, ottenuto aggingendo calce semidrata. Per effetto della mutata tensione superficiale le goccioline di mercurio, prima disperse, si riuniscono e il metallo si raccoglie, alimentando un impianto d'imbombolamento, dove è racchiuso in contenitori dal contenuto netto di 34,5 kg di mercurio.
Abbiamo parlato di alcune miniere ma molto importanti sono anche gli impianti di trattamento che servivano per trasformare il cinabro in mercurio!
La metallurgia del mercurio si basa sull'arrostimento del cinabro in ambiente ossidante secondo la seguente relazione:
HgS+O2 in Hg+SO2
nella quale l'ossigeno è dato generalmente dall'aria atmosferica. In effetti il cinabro racchiuso nel minerale frantumato sublima dapprima nell'ambito delle temperature dei forni di torrefazione (700-800 gradi) e quindi si ossida secondo la reazione sopra indicata. Un successivo raffreddamento del mercurio oramai allo stato di vapore, permette la formazione di mercurio liquido ed il suo recupero per i fini industriali a cui è destinato. Gli elementi essenziali quindi d'un impianto per il trattamento di minerale cinabrifero sono rappresentati dai forni e dalle installazioni necessarie per il recupero dei vapori e la loro successiva condensazione.
Ad Abbadia San Salvatore è accentrato il trattamento del minerale di tutte le miniere del comprensorio del Monte Amiata. Le miniere di Monte Civitella, Morone e Bagnore avviano il loro minerale ad Abbadia dopo averlo frantumato a <50 mm.
Poichè l'umidità media del minerale frantumato supera il 9-10%, un impianto d'essiccamento, comprendente quattro asciugatoi rotativi da 25 t/ora è intercalato nel ciclo prima della torrefazione. Il minerale dopo la riduzione del tasso di umidità a 3 -3,5%, passa successivamente ad un impianto di vagliatura a due tele (35 e 10 mm).
Dopo subisce il trattamento:
1)la pezzatura da 10 a 35 mm, alimenta 4 forni orizzontali rotativi Gould da 150 t/giorno cadauno. Essi funzionano in depressione per ovvie motivazioni di salubrità dell'ambiente, ad una temperatura costante di 750 gradi con bruciatori a nafta piazzati in corrispondenza del punto basso del forno.
2) la pezzatura 0-10 m, alimenta un forno tipo Herrestoff, anch'esso in depressione, a otto suole con capacità di trattamento di 200 t/giorno.
I fumi caldi contenenti i vapori di mercurio, raccolti in testa ai forni, vengono raffreddati e trascinati verso il basso da un impianto automatico di lavaggio e raccolti in bacini sottostanti... Il mercurio che ancora è frammisto a fanghi, viene prelevato e trattato da impastatrici rotative in ambiente alcalino, ottenuto aggingendo calce semidrata. Per effetto della mutata tensione superficiale le goccioline di mercurio, prima disperse, si riuniscono e il metallo si raccoglie, alimentando un impianto d'imbombolamento, dove è racchiuso in contenitori dal contenuto netto di 34,5 kg di mercurio.
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